Ci sono due fatti, apparentemente slegati, che rappresentano un problema reale. Entrambi sono stati da noi raccontati la scorsa settimana su questo sito.
Il primo riguarda Giandomenico Oliverio.
Oliverio è un trentaduenne di Caccuri (Crotone) che negli anni ha accumulato animali randagi (cani in particolare) in un fondo agricolo di proprietà della sua famiglia. I carabinieri, lo scorso 19 aprile, in un drammatico blitz hanno sequestrato 14 cani intestati a Oliverio e ai suoi genitori più altri 15 cani non identificati. È stato inoltre accusato, vista la situazione, di gestire un canile abusivo e di detenere animali da compagnia in una grave situazione igienico-sanitaria. In questa storia da una parte c’è il giusto rigore della legge (sia ben chiaro: siamo i primi a dire che ogni animale deve essere tenuto nel migliore dei modi, secondo tutte le previsioni imposte da norme nazionali e regionali, al di fuori da ogni tentazione di ambiguità), dall’altra c’è la buona fede di chi ha raccolto per strada animali randagi abbandonati a se stessi.
Il secondo fatto ci porta invece a Roma, al Senato della Repubblica. Il protagonista è Giovanni Giacobbe Giacobbe, Garante regionale dei diritti degli animali per la Regione Siciliana. Sentito in audizione dalla Commissione Giustizia di Palazzo Madama sulla legge in discussione sui reati contro gli animali, Giacobbe ha detto:
Osservo in tutto il territorio siciliano, reiteratamente, condotte omissive delle norme regionali e nazionali da parte dei sindaci; condotte che possono determinare maltrattamenti o cagionare la morte di animali.
E ha evidenziato che l’assenza degli enti locali trasferisce di fatto la responsabilità della gestione del randagismo da inetti sindaci al volontariato o peggio ancora ai privati. E poi: “Esiste un volontariato sano ma esiste anche un finto volontariato che vista l’assenza delle istituzioni trae guadagni illeciti e grandi profitti dalla gestione e dalla movimentazione di animali da compagnia”.
Il tema è lo stesso. Se Giacobbe lo descrive riferendosi alla sua Sicilia e lo denuncia con solennità, peraltro in una sede istituzionale importante e in una occasione ufficiale, Oliverio lo incarna, ne è l’esempio plastico. Il tema è quello dell’omissione, della irresponsabilità dimostrata da intere generazioni di amministratori locali nella gestione di un problema come il randagismo. Tema che – attenzione! – ha a che fare non solo con il benessere degli animali ma anche, nello spirito della legge, con la salute pubblica.
In tutte le organizzazioni umane, di fronte a un problema, c’è sempre qualcuno che si attrezza per risolverlo, per dare una risposta. Il problema è chi, ed è anche come. Nel nostro Paese la legge sugli animali da affezione – quindi sul randagismo – ha più di trent’anni, ma in alcuni Comuni (non solo del Sud Italia, per esser chiari) è come se quella legge non fosse stata mai approvata. Come se non esistesse. C’è l’omissione trentennale di una norma che invece dovrebbe essere applicata quotidianamente. Molti Comuni non lo fanno e allora arrivano, per compensazione ma non per sussidiarietà, il volontariato (quello sano e quello meno sano) e i privati. La latitanza del pubblico trova così disperato rimedio nell’iniziativa del terzo settore o dei privati. Entrambi finiscono per rischiare sulla propria pelle senza però risolvere niente. Niente. Niente.
C’è un altro fatto da evidenziare a margine.
Dieci giorni fa il presidente della Sezione Enpa di Crotone, Giuseppe Trocino, casualmente poche ore prima del caso Oliveiro, ha scritto una lettera aperta al Procuratore della Repubblica, Domenico Guarascio.
Ho diffamato e calunniato per anni i sindaci ed i direttori generali dell’Asp di Crotone per questo chiedo al Procuratore della Repubblica di Crotone di indagarmi per questi reati.
“Di fronte all’assenza e al disinteresse delle istituzioni – ha scritto Trocino -, i cittadini sensibili tentano, loro malgrado, di mettere in salvo quanti più animali possibile, impegnando soldi propri e sottraendo tempo alle proprie famiglie. Alcuni cittadini finiscono per accogliere nella loro proprietà un numero consistente di cani abbandonati con tutto ciò che ne consegue in termini di costi di mantenimento e contrasti con i vicini che, nei casi più estremi, terminano con denunce e prelievo coatto degli animali da parte del Comune e/o ASP che ne ordinano la deportazione nei canili privati gestiti da società che antepongono il lucro al benessere degli animali”. Ecco, altro tema spinoso: i privati con regolare iscrizione alla Camera di Commercio che gestiscono strutture con migliaia di animali contigue non alle campagne ma a altri, certo meno allegri, ambienti…
Esito della coraggiosa autodenuncia di Trocino: nessuno. Niente. Il silenzio. L’indifferenza. Il muro di gomma.
Un mese prima, sempre a Crotone ma su un altro fronte, Enpa e altre associazioni locali hanno comunicato formalmente l’impossibilità di continuare a recuperare sul territorio la fauna selvatica ferita a causa, anche qui, della totale assenza degli enti locali. Le associazioni hanno fatto una rinuncia. Esito: il silenzio, anche qui.
Calabria, Italia. Sicilia, Italia. Puglia, Italia. Campania, Italia. O no?